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29/06/11

Nota dell'autore...


Credo che la sofferenza sia un modo soggettivo per affrontare la vita.
Ma credo anche che molte persone siano così schiave di questa dinamica da non poterne fare a meno.
Quello che in questo testo è rappresentato  in modo simbolico non è da interpretare come la normale debolezza di una famiglia perbene, in quanto spesso le famiglie perbene nascondono il dolore alle apparenze, ma solo come la sensibilità di un fanciullo che diviene uomo in una società spesso priva di un appoggio morale e sincero. Non rinnego nulla di ciò che ho vissuto e nulla mi spinge a provare rancore verso i miei familiari o i capri espiatori a cui un tempo associavo le mie disgrazie.

Credo che ognuno dovrebbe comprendere che se la sofferenza permane non è da identificare in un processo costrittivo sociale ma in una porta che rimane chiusa da troppo tempo, una porta che ognuno di noi tende a nascondere dietro un sipario di ignoranza, una porta che ci aprirebbe il cuore ad una nuova esistenza e ad un nuovo livello vitale.
L’infanzia è la vera ricchezza che ci porteremo sempre dietro. La semplicità celata negli occhi di un bambino è quel lume di ragione che dovrebbe illuminare il nostro sentiero. E’ il momento in cui siamo più puliti nell’animo e più semplici e gioiosi nelle nostre analisi. Non si pensa al sesso o alla tristezza e si gioisce di ogni carezza e di ogni sorriso.
Ma quando giunge il cambiamento esso ci terrorizza a tal punto da rinunciare ad una strada più profonda ed evolutiva. Spesso è la paura di restare da soli per troppo tempo e in quella solitudine le visioni si farebbero largo per riavvicinarci a ciò che un tempo avremmo definito Dio.
La solitudine è una clessidra sepolta nella sabbia.
La solitudine è un sussurro trasportato dal vento che ci penetra, ci analizza e ci rende consapevoli di essere diventati apatici e al contempo schiavi delle nostre analisi.  Ed è proprio questa nuova consapevolezza a far insorgere in noi la rabbia di un ticchettio semplice ma inesorabile che scandisce le nostre forme di compartecipazione sociale.
Tutto ciò che il processo rende vivido in un modo che a noi sembra prematuro ci risucchia in un epoca di ira dove si accavallano i rimorsi di accuse infondate tra le macerie ormai inservibili e la rabbia per la cecità di azioni verso chi non può difendere se stesso; dove si tende a colpevolizzare chi ha errato nella propria esistenza creandoci l’illusione di averci rallentati se non addirittura bloccati.
L’esternazione consapevole della rabbia infine ci trasforma in persone coscienti e reggenti del nostro Io interiore. Persone la cui forza e costanza fungono da appoggio all’umana virtù che li circonda.


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